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Oggi, 19 maggio, si celebra San Celestino V: il Papa eremita, molisano, del "gran rifiuto" catturato a Vieste

Pietro da Morrone nasce tra il 1209 ed il 1215, forse ad Isernia, forse a Sant’Angelo Limonano, ma anche Sant’Angelo in Grotte ne vanta la genitura.

Oggi, 19 maggio, si celebra San Celestino V: il Papa eremita, molisano, del "gran rifiuto" catturato a Vieste

«Il Gargano fu testimone delle ultime drammatiche fasi della biografia del pontefice che Dante pone tra gli ignavi dell'Antinferno, indicandolo come colui / che fece per viltade il gran rifiuto, e che fu poi riabilitato da Ignazio Silone

Campione di viltà o di coraggio nel sottrarsi alle soggezioni politiche dell'epoca? Non sapremo mai cosa realmente spinse il monaco eremita di Isernia Pietro Angolerei al "gran rifiuto" (le prime dimissioni nella storia della Chiesa) del trono papale, il 13 dicembre del 1294, a soli 4 mesi dalla sua elezione, dopo un lunghissimo conclave. Il suo gesto venne condannato clamorosamente da Dante, che pone Celestino tra gli ignavi dell'Antinferno della "Divina Commedia", e riabilitato da Ignazio Silone ne "L'avventura di un povero cristiano". Di fatti, la storia di Celestrino V incrocia quella della Capitanata, perché il «Il Gargano fu testimone delle ultime drammatiche fasi della biografia del papa del "gran rifiuto"».

CHI ERA CELESTINO V

Nasce tra il 1209 ed il 1215, forse ad Isernia, forse a Sant’Angelo Limonano, ma anche Sant’Angelo in Grotte ne vanta la genitura. Da giovanissimo lo si ritrova subito nel Convento Benedettino di Santa Maria in Faifoli. Asceta e solitario già nel 1239 si ritira in una caverna sul Monte Morrone, in tenimento di Sulmona. Dopo una permanenza romana torna in grotta sempre sul Morrone, da quì dopo cinque anni si sposta in un anfratto ancora più remoto sulla Maiella in Abruzzo. Costituisce la congregazione dei frati di Pietro da Morrone, ramo dei monaci benedettino, che diventerà ordine dei Celestini. Celebri sono i suoi viaggi a piedi in Francia a Lione, dove in occasione del Concilio di Lione si reca per evitare che fosse sciolto il suo ordine. Il 4 aprile del 1292 muore Papa Niccolò IV , il conclave , composto da soli dodici porporati, non riesce a trovare una soluzione sul nome del nuovo Papa. L’arrivo della peste a la morte del cardinale francese Cholet aggraverà la scelta. Dopo ben due anni di inutili incontri, con la sede spostata a Perugina, sarà l’irruzione in sala di Carlo D’Angiò re di Napoli, stufo di attendere e abbisognevole di avalli pontifici sui trattati per la gestione della Sicilia, che fece accelerare i lavori. Dopo ben 27 mesi, fu trovata la quadra sul nome di Pietro Angeleri, l’asceta, il mistico, ma anche il più lontano dagli intrighi della Chiesa di allora. Si trattò sicuramente di una scelta di comodo. Il frate rifiutò fin da subito, poi accettò non proprio convinto. Incoronato il 29 agosto del 1294 emanò subito, dalla chiesa di Santa Maria di Collemaggio (L’Aquila) la bolla del perdono, conosciuta come la Perdonanza, sarà il primo vero Giubileo della Chiesa Cattolica. Carlo D’Angiò divenne subito il suo "maresciallo" e Celestino V ratificò subito i patti per la successione della Sicilia. Nominò subito ben 13 nuovi cardinali, nessuno romano e trasferì la sede della Curia da L’Aquila a Napoli nel Castel Nuovo. Il 13 dicembre del 1294, dopo solo quattro mesi dalla sua elezione, Celestino V, sconsigliato da Carlo d’Angiò, ma fortemente aiutato dal cardinale Castani, abdicò per gravi motivi. Pare che la bolla fosse stata scritta proprio dal cardinale Castani, che dopo solo undici giorni sarà eletto dal Conclave riunito proprio a Napoli, nuovo Papa. Per Benedetto Castani, laziale di Anagni, arriva il nome di Bonifacio VIII. Le paure che Celestino V fosse rapito dai cardinali francesi, nemici del Castani, fece sì che il povero frate venisse rinchiuso nella rocca di Fumone in Ciociaria, qui morirà il 19 maggio del 1296. Tra le notizie strambe rientra anche quella del rapimento della salma di Celestino V nel 1988, poi ritrovata nel comune di Amatrice. (da pupia.tv)

CELESTINO V E IL GARGANO

Il Gargano fu testimone delle ultime drammatiche fasi della biografia del papa del «gran rifiuto». Dopo la rinuncia al pontificato, il fuggitivo si era diretto verso il monastero di San Giovanni in Piano presso Apricena, che seguiva il suo ordine religioso; si era quindi imbarcato a Rodi per la Grecia, dove probabilmente intendeva raggiungere la comunità degli spirituali di Clareno, ma la nave naufragò. La località a «quindici miglia da Rodi e cinque miglia da Vieste», dove trascorse nove giorni prima di essere individuato e consegnato agli emissari di Bonifacio VIII, non è stata individuata precisamente dai biografi coevi («Analecta Bollandiana», Vita C.). Lo storico viestano Giuliani indicò la spiaggia di Santa Maria di Merino. Mimmo Aliota e Giuseppe Martella hanno ipotizzato che Celestino V abbia trovato un temporaneo rifugio nei pressi di Peschici. Il primo ricercatore indica l'abbazia di Santa Maria di Kàlena; il secondo localizzò un luogo rupestre, significativamente chiamata a grott 'u papa, ubicata in una pineta a ridosso della punta di Calalunga, tra Peschici e Vieste. Ipotesi suggestiva, supportata da antiche fonti orali. Celestino V si sarebbe rifugiato proprio in questa zona rupestre: è qui che sarebbe stato prelevato dal governatore di Vieste. La presenza di Celestino V nel luogo suddetto sembra confermata da un particolarissimo toponimo: l'insenatura da cui si diparte il sentiero che conduce al complesso rupestre è denominato U' Iale d' la Croce (spiaggetta della Croce). E il logo dello stemma celestiniano è appunto una Croce con una S intrecciata, simbolo dello Spirito santo. 

La commossa descrizione nel dramma di Silone

La cattura di Celestino V su questo tratto di costa garganica trova una singolare eco letteraria nella scena V del dramma di Ignazio Silone. Ne L'avventura di un povero cristiano, l'azione si svolge in una località impervia, raggiungibile solo in barca, sulla costa meridionale tra Peschici a Vieste: è un'ampia semigrotta, incavata a mezza costa d'un promontorio roccioso, quasi a strapiombo sul mare. Attorno vi crescono cespugli di fichidindia e qualche olivastro, davanti è un sentiero che si allarga a forma di terrazzino, alcuni grossi sassi fungono da sedili, un fontanile è vicino. Il tempo del racconto è un sereno pomeriggio del mese di maggio 1295. Sono passati sei mesi dall'abdicazione e dall'inizio della fuga per sottrarsi alle ricerche degli agenti di Bonifacio VIII e dei loro concorrenti francesi. Celestino riposa all'interno della grotta illuminata dal sole ponente; è seduto su un pagliericcio, con la schiena e la testa appoggiate alla roccia, gli occhi chiusi. Due giovani frati, per motivi di prudenza, in abiti civili, aspettano che si svegli per comunicargli le ultime novità: il priore di San Giovanni in Piano ha messo a disposizione una barca con un paio di pescatori per traghettarli in Grecia, nell'isola di Acaia (golfo di Corinto), dove raggiungeranno gli amici che li hanno preceduti. Aspettano, per salpare, che il vento sia favorevole. 

Presa la decisione dell'esilio, Celestino ne spiega i motivi ai due fraticelli che gli sono rimasti accanto, dopo che gli altri sono stati imprigionati e pochi sono riusciti a riparare in Grecia: «Figli miei, guardate questa terra, queste pietre, il mare, il cielo; riempitevi l'anima di queste immagini, per ripensarle da lontano. Bisogna amare la propria terra, ma, se essa diventa inabitabile per chi vuole conservare la propria dignità, è meglio andarsene». Nel successivo dialogo fra Tommaso e Pier Celestino, c'è il riferimento alla località di Peschici, dove da parte di alcuni marinai si «mormora» sul povero fuggiasco: «Mi dispiace d'insistere, ma è meglio sbrigarsi. A Peschici, qui vicino, si mormora su di voi. Uno dei pescatori, che adesso è tornato di li, è stato interrogato da un gendarme». L'azione riprende nel medesimo quadro, un mese più tardi: alla primavera è succeduta l'estate. Sul sentiero che sale dalla costa appaiono Matteo il tessitore e la figlia Concetta che, banditi dal Morrone per le loro idee religiose, finalmente, dopo innumerevoli disagi di viaggio via mare hanno raggiunto i fraticelli nell'impervia località garganica. Questi li mettono al corrente del modo in cui Celestino si era «consegnato» ai suoi nemici.

L'influenza del santuario di Monte Sant'Angelo

Al di là di questi riferimenti toponomastici e letterari, i luoghi del comprensorio sono comunque interessati dall'onda della memoria di Celestino V. La sua figura restò impressa nell'immaginario collettivo per un'affinità importante: il territorio garganico si era qualificato, fin dal periodo medievale, per un'estesa e capillare colonizzazione monastica, una serie di insediamenti religiosi e di grotte rupestri, dove monaci, anacoreti ed eremiti vivevano in stretta simbiosi con la natura incontaminata. Nell'XI e XII secolo numerose abbazie benedettine erano proliferate intorno al venerato Santuario dell'Arcangelo Michele: ebbero una straordinaria influenza spirituale ed economica, estesi possessi territoriali e imponenti strutture insediative. Alle terre incolte e ai boschi, che costituivano gli iniziali possessi fondiari, si sostituì una rete di nuclei produttivi di seminativi e vigne, dotate di impianti di trasformazione. L'esperienza degli insediamenti monastici celestiniani, il sistema delle "fraternite" e delle "grance" si inserirà in questo contesto propizio, completando l'utilizzo razionale del territorio.

© 2003 Teresa Maria Rauzino. Articolo pubblicato sul «Corriere del Mezzogiorno» (quotidiano pugliese allegato al «Corriere della sera») dell'8 gennaio 2003, pag. 12 ("Cultura"), e qui ripresentato con il consenso dell'autrice.

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