Almanacco
16.05.2024 - 15:06
La prima volta da onorevole di Giuseppe Di Vittorio
«Votarono tutto a modo loro, e la vittoria non poteva arridere solo che al fascismo. Così fu usata violenza in tutto il collegio, e Caradonna risultò deputato al Parlamento. Ciò non toglie che anche l'amato Giuseppe Di Vittorio fu eletto la prima volta, raccogliendo la grande maggioranza dei suffragi in provincia di Bari»
Le elezioni politiche a Cerignola, il 15 maggio del 1921, vengono segnate da intimidazioni fasciste contro cui si leva una forte protesta popolare contrastata nel sangue: l'esercito spara e causando la morte di 8 persone.
LE ELEZIONI POLITICHE DEL 15 MAGGIO 1921
Le elezioni politiche si svolgono nella violenza. Il deputato del Ppi Miglioli viene bastonato e deve essere ricoverato in ospedale. Scontri mortali fra attivisti di opposte fazioni avvengono a Biella, Gozzano (No), Vigevano (Pv), Castelbelforte (Mn), Crema (Cr), Padova, Canale (Tr), Melissano (Le), Siracusa. A Cerignola (Fg) gli squadristi uccidono 3 componenti di una famiglia di sinistra (i fratelli Michele e Matteo Bancone e la madre Maria Russo) e 5 antifascisti che si recavano a votare (Giovanni Cirulli, Antonio Guglielmi, Nicola Naligio, Domenico Margiotta, Vito Pappalardo).
I GIORNI DELLA PRIMA ELEZIONE DI GIUSEPPE DI VITTORIO ALLA CAMERA DEI DEPUTATI
di Marco Pizzolo (Sudest, numero 16, luglio-agosto 2006)
di Marco Pizzolo
Decidemmo la partenza da Mola, ma quando la zia Margherita seppe della decisione, si oppose con tutto il suo affetto materno, ma le sue preoccupazioni non superararono le nostre ragioni. [...] Decidemmo la partenza alla volta di Cerignola e fu attuata. La cara zia, il suo consorte, i suoi figli miei cugini, piangevano alla stazione in attesa del treno in arrivo. Il treno arrivò. Ci baciammo ancora una volta. Mentre il treno riprendeva la sua corsa, ci salutavamo ancora, sventolando i fazzoletti bianchi, fino a quando tutto scomparve.
Alla stazione campagna abitava la zia Anna, sorella maggiore di mia madre. Appena giunti alla stazione campagna di Cerignola, ci recammo dagli zii. La zia Anna, come ci vide ci abbracciò, consigliandoci di non andare in città perché i fascisti erano furiosi per non avermi preso nelle loro mani. Io accettai il consiglio a rimanere là per quella notte, ma dalle parole della zia Anna, girò il mio sangue, fui preso da una grande eccitazione. La cara zia ci preparò da mangiare, e da dormire. Prima di andare a letto, stabilimmo che la zia, suo marito, con qualche sua figlia, col “traino” di loro proprietà, avrebbero accompagnato mia moglie a Cerignola senza destare il minimo sospetto. Ed io? Alla campagna, ossia al vecchio posto nella tenuta S.Vito, dove sotto qualche pietra lasciai la chiave dei singoli fabbricati che mi ospitavano in caso di necessità. Là lasciai nascosto l'essenziale per potermi difendere.
Veramente i compagni, saputo del mio ritorno, subito mi vennero a rintracciare. Fu tenuto un convegno improvvisato sulle elezioni politiche che si svolsero il 15 maggio 1921: una data che la storia cittadina ricorderà.I fascisti, dopo aver ucciso la famiglia Bancone nel mese di marzo, il 15 maggio uccisero Dalicino Nicola, Pappalardo Vincenzo e Nicola non mi ricordo il cognome. Il piano fu preordinato, perché l'allora sindaco Adolfo Salminci, in accordo con l'autorità locale, e con i fascisti, stabilì una tregua, invitando tutti i lavoratori alla calma e tutti gli elettori a recarsi a votare, per dare il proprio giudizio con la scheda, in omaggio all'ordine. Così diceva un manifesto murale e un volantino: «Tutti i cittadini sono tenuti ad osservare la legge: nessuno ha diritto di trasportare con sé armi di qualsiasi specie atti ad offendere, e per la giornata delle elezioni si fa divieto anche dei bastoni; i contravventori saranno passibili del carcere, e puniti a norma della legge, la licenza di porto d'armi non sarà tenuta in considerazione».
La sera del 14 maggio 1921 alla Camera del Lavoro fu tenuta un'assemblea, affollatissima, e fu concordato di non accettare provocazioni, anche se la polizia avesse predisposto delle perquisizioni di strada, per arrivare al voto serenamente. Uscì dalla Camera del Lavoro una fiumana di gente onesta, decisa a manifestare con la scheda la consapevolezza e la volontà di mandare al Parlamento i veri difensori della classe operaia, coloro che hanno vissuto la propria vita di lavoro. Fu tale l'impressione dei fascisti locali, della classe reazionaria e della polizia compresa, che prepararono il piano: come calpestare nel sangue la vittoria sicura dei lavoratori. E fu così che mentre i pacifici cittadini affluivano alle sezioni elettorali la polizia li perquisiva per assicurarsi meglio che fossero disarmati. Però comprese che l'arma più potente era nella coscienza del popolo, pronto per colpire sono- ramente a schiaffi morali, quello del responso dello scrutinio. Cerignola rossa ne sarebbe uscita vittoriosamente trionfante, perché Cerignola fu e resta nella storia il paese più avanzato della Capitanata. Ma nessuno avrebbe mai creduto a tanta barbarie di jene assetate di sangue umano, e senza nessun perché.
I primi colpi di arma da fuoco furono sparati dai fratelli Colangione, e Borrelli Giuseppe soprannominato “ciampacorto”[1] (qui, è bene chiarire, che è vero che personalmente io non c'ero, ma è altrettanto vero quanto riferisco, perché ci furono i processi, anche se finirono a bolle di sapone) poi si sparava da tutti i palazzi di Cerignola, dal centro alla periferia. Fu certamente un fuggi fuggi di lavoratori inermi.
Il piombo codardo del fascismo e della polizia spezzava la vita degli anzidetti lavoratori. Vincenzo Pappalardo, per preparare il brodo alla moglie partoriente, andò a comperare un po' di bollito. Si dice che all'uscita della beccheria, con la carne nelle mani, cadde in una pozza di sangue. Contemporaneamente, trovarono la morte Nicola D'Alicino, e Nicola il carrettiere di Zezza, senza contare feriti gravi e leggeri, dalla parte dei lavoratori. Per tutte le loro famiglie, fu il panico e lo sgomento nello stesso tempo, tutti scappavano perché bersaglio sicuro dei nemici, fin al punto che, fascisti e polizia, tutti con le armi in pugno, spadroneggiavano in piazza indisturbati. Mentre i morti giacevano per terra come cenci umani, senza poter avere la possibilità di qualsiasi soccorso. Quando la stessa polizia, dopo mezza giornata, si prodigò da paladini dell'umanità, purtroppo i compagni furono dichiarati morti. Ecco come si svolsero le elezioni a Cerignola il 15 maggio 1921. Ecco il piano prestabilito dell'avversario per reprimere nel sangue la vittoria dei lavoratori di Cerignola. Durante tutto il giorno, chi voleva circolare? Votarono, si capisce, tutto a modo loro, e la vittoria non poteva arridere solo che al fascismo. Così fu usata violenza in tutto il collegio, e Caradonna risultò deputato al Parlamento. Ciò non toglie che anche l'amato Giuseppe Di Vittorio fu eletto la prima volta, raccogliendo la grande maggioranza dei suffragi in provincia di Bari[2]. Di Vittorio era in carcere dallo sciopero del febbraio del 1921. La polizia, attraverso alcuni delatori, individuò dove era nascosto, lo prelevò e lo spedì rapidamente alle carceri giudiziarie di Lucera, con l'imputazione, insieme a Pizzolo Marco e Cela Giuseppe, di incitamento all'odio di classe e di essere organizzatori di banda armata, per gli avvenimenti svoltisi a Cerignola e nelle campagne in data 21 e 22 febbraio. Il compagno Giuseppe Di Vittorio era in carcere, il compagno Cela lo stesso, così come altre diverse decine di compagni. Io solo era latitante, sì. Ma non sapevo che dovevo rispondere dell'arresto del compagno Di Vittorio. Fu enorme il vuoto fra la classe lavoratrice di Cerignola. Valentino Michele, allora presidente, non fu arrestato. Perché? Diciamo che sarebbe stata una fortuna per lui e per la nostra organizzazione se avesse risolutamente sostituito il compagno Di Vittorio. Invece a nulla valse la sua presenza da libero cittadino, anzi addirittura dimostrò la sua apatica opera, tanto che fu sostituito dal compagno Pepe Antonio, che ne assunse in pieno la responsabilità della dirigenza. I lavoratori di Cerignola con l'assenza del compagno Di Vittorio, si sfiduciarono, anche per la paura della polizia, e dei fascisti. Disertavano la Camera del Lavoro in maniera sempre più crescente. Sillitri Ignazio, Schiavulli Semplicio, nella loro qualità di componenti il comitato direttivo della C.d.L., dopo una quarantina di giorni di carcere uscirono, assolti. Da quando furono liberati non si fecero più vedere, né alla C.d.L., né dai compagni. Diversi, generali in tempo di pace, la pensarono così.
Il 15 maggio, a dispetto della reazione fascista e della polizia, la voce chiara dello scrutinio e la volontà compatta dei lavoratori, liberarono dai gelidi muri del carcere di Trani il compagno di Minervino Murge, Carmine Giorgio, e il compagno Di Vittorio, dalle carceri di Lucera, col divieto di raggiungere Cerignola, suo paese natio. Il compagno Di Vittorio accettò solo in omaggio all'ordine e alla pace del nostro paese.
Modugno Nicola, segretario della Camera del lavoro di Andria, fece sapere che, per espresso desiderio dei cittadini andriesi, desideravano tributare all'amato compagno tutto il loro orgoglio, con una grandiosa festa di giubilo per la vittoria riportata alle elezioni. I compagni di Bari desideravano manifestare altrettanto, e ce ne volle per mettersi d'accordo, fra Errico Meandri, segretario regionale della Puglia, Luigi Soldano, Nicola Nardulli, ed altri compagni di Bari, con quelli diAndria. Trovato l'accordo tra loro, fu stabilito che dalla mattina del 22 maggio 1921 fino alle 10, Di Vittorio avrebbe soddisfatto il popolo di Andria, e il resto della giornata sarebbe stato a Bari.
Ecco chi ride e chi piange.ACerignola, quel giorno storico, fu giornata di lacrime, perché la città voleva toccare, abbracciare, baciare il figlio prediletto, mentre di quella grande gioia beneficiarono solo ad Andria e Bari. In ogni caso, i compagni di Cerignola, i componenti il comitato della Camera del Lavoro, tutti avrebbero partecipato alla manifestazione, anche il popolo l'avrebbe fatto, se il fascismo non avesse agito vigliaccamente, secondo il costume e gli ordini già impartiti dalla gerarchia.
Però era necessario un colloquio con Peppino, circa lo sbandamento nella Camera del Lavoro. Il Comitato mi aveva nominato dirigente responsabile della C.d.L.. Ma non potevo fare nessun passo, poiché non sapevo con precisione se egli mi avrebbe fatto degli addebiti in relazione al suo mandato di cattura. Perciò il Comitato, giustamente, deliberò che fosse indispensabile raggiungere il caro compagno Di Vittorio, per ottenere un suo pacato suggerimento. Chi doveva raggiungere il compagno Di Vittorio? Si rivolsero a me. Io mi trovavo in via S. Maria degli Angeli, credo n. 44 o 40, là vi abitavano i miei cari suoceri, e io ero tranquillamente in casa loro, con la mia compagna. Una decina di compagni giovani degni di fede, si mobilitarono a guardia dell'abitazione. Se si avvicinava la polizia, la parola d'ordine era un colpo d'arma da fuoco in aria, in maniera da confonderli e avere il tempo di svignarsela. Con questo accorgimento, potevo stare tranquillo: non si verificò mai nessun incidente. Così stavo tranquillo quella sera del 21 maggio 1921 e vidi arrivare, i compagni Quacquarella Cesare, Pelone Giuseppe, Casacci Alfredo, Pepe Antonio, Di Lauro Giovanni e Furioso Luigi, che mi espressero la necessità di raggiungere l'amato Peppino ad Andria, per avere istruzioni in merito alla Camera del Lavoro di Cerignola e per sapere se potessi rientrare, per riprendere l'attività di dirigente responsabile, desiderio espresso all'unanimità dal comitato direttivo della C.D.L. Appena informato, per quanto pericoloso fosse in quell'epoca, e in quella data particolare, accettai senz'altro di partire subito.
Il compagno Pelone Giuseppe, animatosi anch'egli, disse di voler venire assieme. Mentre si parlava del più e del meno, e dell'ora della partenza, un tale Lucafò Giuseppe, uomo temuto e di statura colossale, passando da quei paraggi, disse ai miei, che stavano seduti fuori, di volermi salutare. Nel colloquio, Lucafò disse di mettersi a completa disposizione della mia compagna. Fissammo, così, la partenza e l'itinerario. Da Cerignola, di notte, saremmo andati con un biroccio fino alla stazione rurale di Candida, in attesa del primo treno Roma-Lecce, per poter poi scendere a Barletta. A Barletta avremmo preso un calesse Barletta-Andria. Così fu da me stabilito, e così fu fatto, senza incontrare nessunissimo inconveniente. Arrivammo pacificamente ad Andria, ma l'amato Peppino, subito dopo la manifestazione, era partito, trasportato a viva forza dai compagni baresi, alla volta di Bari. Certo che rimanemmo male, ma l'obiettivo era di raggiungerlo, e lo rintracciammo. Raccogliemmo notizie più precise dai compagni andriesi. Uno di loro mi diede il suo indirizzo, dichiarandomi la propria disponibilità nei nostri confronti in ogni caso di bisogno, e in più mi disse anche che per rintracciare a Bari il compagno Di Vittorio avremmo dovuto chiedere del salone di Luigi Sudano. Senza perdere tempo, riprendemmo il cammino verso Bari, a mezzo del trenino Andria-Bari e arrivammo a Bari alle 13, sicuri di trovarlo, se non alla Camera del Lavoro certamente in casa Sudano. La Camera del Lavoro era deserta e il bidello di essa ci disse che era facile trovarlo in casa Sudano. Purtoppo, non c'era nemmeno in casa Sudano. La signora Sudano in principio disse di non sapere niente, ma quando fu sicura che venivamo da Cerignola, perché Cerignolani, allora ci precisò, dove andarlo a trovare, e cioè alla Pelosa, ossia a Torre a Mare. Saputo ciò, invitammo una carrozzella a portarci sul posto. Per il forte caldo volli prendere posto a fianco al vetturino, a cassetta. Il compagno Di Vittorio fu invitato a gustare un pranzo all'aperto, su di una terrazzina coperta, affacciata sul mare, rialzata di tre-quattro gradini, caratteristica, bella, soprattutto perché si sentiva l'odore del mare. Ma per quanto avessimo la sensazione di essere in mezzo al mare, lì stava il compagno Di Vittorio e i compagni baresi che coronavano il successo. Lì finalmente c'incontrammo. Il compagno Di Vittorio, disse agli altri prima di mettersi a tavola: «Compagni credetemi, sento non so che cosa in me, mi sembra che qualche compagno o qualche famigliare mi stia per raggiungere da un giorno all'altro. Fosse per me, sarebbe una gran bella cosa, perché sento una voglia matta di vedere qualcuno di Cerignola». Iniziarono a mangiare in omaggio alla vittoria riportata e alla sua liberazione. Ma non passò tanto tempo che avvistò la carrozzella che si dirigeva verso di loro. «Ecco - ripeté - non mi sbagliavo, la telepatia mi è stata precisa, quel compagno a fianco al vetturino, è il compagno Pizzolo di Cerignola». Tutti lasciarono la tavola per venirci incontro. Io non sapevo dove fissare gli occhi per vederlo, perché digiuno del luogo, e guardavo il mare, quando il vetturino disse: «Eccoli là dove stanno». Eravamo arrivati. Feci un salto dalla carrozzella, e uno contro l'altro ci stringemmo nelle braccia, baciandoci caramente come due fratelli. Così lo stesso fecero Lucafò, e Pelone, e dopo di aver pagato il vetturino prendemmo commiato. A tavola, mi fece sedere al suo fianco. Io e i miei compagni, un po' per l'aria del mare, ancor di più per la fame, mangiammo e bevemmo a sazietà. Di Vittorio, mangiò, sì, per accontentare i commensali, ma pochissimo. Ci tempestò di domande, domande su domande, nell'intendimento di voler sapere tutto e di tutti, dalla a alla zeta, di Cerignola, e del suo degno popolo.
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