Il fatto di cronaca
29.12.2025 - 14:36
Secondo quanto ricostruito, l'uomo si trovava in evidente stato di alterazione dovuto all'abuso di alcol e sostanze stupefacenti. Il 42enne avrebbe aggredito fisicamente i genitori, minacciandoli di morte e devastando gli arredi dell'appartamento, trovato completamente a soqquadro dai militari, che sono riusciti a bloccarlo.
C’è un’immagine che resta impressa, come una fotografia scattata nella mezzanotte di un Natale rovesciato: due coniugi costretti a rifugiarsi nell’androne del palazzo, in pantofole e con il respiro corto, per sfuggire alla furia del figlio. Una scena che a Campobasso, il giorno di Natale, ha spezzato il silenzio delle feste e ha riportato alla luce un dramma che — secondo le testimonianze — andava avanti da dieci anni con una frequenza quasi quotidiana. L’allarme è scattato e i carabinieri, chiamati da una segnalazione di lite familiare, sono arrivati in pochi minuti: l’uomo, in evidente stato di alterazione dovuto all’abuso di alcol e sostanze psicotrope, avrebbe aggredito fisicamente i genitori, minacciandoli di morte e devastando l’appartamento. Dopo essere stato bloccato, è stato trasportato all’ospedale Cardarelli. La madre è rimasta ferita a una mano. È quanto emerge da un quadro che, reso pubblico il 29 dicembre 2025 (ore 11:59), racconta molto più di un episodio isolato.
IL NATALE TRASFORMATO IN INCUBO
Il paradosso è crudele: il giorno tradizionalmente dedicato alla famiglia diventa il teatro di una violenza domestica esasperata. A Campobasso, la cronaca restituisce l’eco di urla, vetri infranti, mobili rovesciati. Non servono dettagli grafici per capire la portata dell’episodio: basta sapere che la casa è stata devastata e che i genitori hanno dovuto cercare salvezza nell’androne, spazio di passaggio che per qualche minuto è diventato rifugio. Quante volte, dietro porte chiuse, la normalità è solo una facciata? Quante volte le festività amplificano fragilità già sedimentate?
# L’INTERVENTO DEI CARABINIERI E LA MESSA IN SICUREZZA
I militari dell’Arma sono intervenuti dopo la segnalazione di lite in famiglia, trovando i coniugi provati e terrorizzati. La priorità, come in tutti i protocolli operativi, è stata mettere in sicurezza le vittime e riportare la calma. L’uomo, in evidente stato di alterazione, è stato immobilizzato e quindi accompagnato all’ospedale Cardarelli per gli accertamenti del caso. Per la madre, ferita a una mano, sono scattate le cure mediche. La sequenza degli eventi, per quanto essenziale, apre già due piani di lettura: l’urgenza dell’intervento in flagranza e il lungo periodo di sofferenza che, stando alle testimonianze, precede e circonda l’episodio culminato a Natale.
# DIECI ANNI DI VIOLENZE: IL PESO DEL “QUASI OGNI GIORNO”
Le testimonianze raccolte restituiscono un quadro “drammatico”: violenze e abusi di sostanze che si protraevano da dieci anni, con frequenza quasi giornaliera. È una frase che ferisce, perché contiene due elementi chiave: la cronicità e l’abitudine al pericolo. Dieci anni non sono un lampo, sono un tempo lungo, in cui la paura può diventare routine, la vergogna muro, la speranza di un cambiamento un filo sempre più sottile. Come accade in molte storie di maltrattamenti, l’abuso di alcol e psicotropi sembra agire da acceleratore, da detonatore di conflitti e aggressività. Ma il fattore scatenante non cancella la responsabilità individuale: lo stato di alterazione spiega, non giustifica.
## IL DIRITTO PENALE CHE BUSSA ALLA PORTA DI CASA
Sul piano giuridico, un episodio del genere può tradursi — sarà la magistratura a valutare — in ipotesi di reato come maltrattamenti in famiglia (art. 572 c.p.), lesioni personali (art. 582 c.p.), minacce (art. 612 c.p.) e danneggiamento (art. 635 c.p.). In presenza di violenza domestica, la cornice del cosiddetto “Codice Rosso” accelera l’attivazione dell’autorità giudiziaria e può portare a misure cautelari rapide: dall’allontanamento dalla casa familiare al divieto di avvicinamento, fino alla custodia cautelare nei casi più gravi. Non si tratta solo di reprimere: l’obiettivo è proteggere le vittime e interrompere il ciclo della violenza.
## ALCOL E SOSTANZE: QUANDO LA DIPENDENZA ARMA LA QUOTIDIANITÀ
L’alterazione da alcol e psicotropi riemerge come variabile ricorrente nelle cronache di violenze intrafamiliari. È una miscela pericolosa: disinibizione, oscillazioni dell’umore, possibile comparsa di sintomi paranoidi o aggressivi. L’errore sarebbe scambiare la causa con il contesto: le dipendenze gravano su relazioni già fragili e possono incanalarne le tensioni nel peggiore dei finali. Eppure, le vie d’uscita esistono: percorsi di trattamento, comunità terapeutiche, programmi integrati tra servizi per le dipendenze e salute mentale. La domanda è: perché spesso arriviamo tardi? Perché dieci anni possono passare tra silenzi, minimizzazioni e tentativi di “tenere in casa” un problema che richiederebbe una rete esterna?
# PROTEZIONE DELLE VITTIME: TRA STRUMENTI E NODI IRRISOLTI
Le norme ci sono, i protocolli anche. Ma la protezione effettiva delle vittime dipende dall’incastro tra giustizia, forze dell’ordine e servizi sociali. In situazioni come quella di Campobasso, ogni passaggio è decisivo: la denuncia, l’attivazione immediata del “Codice Rosso”, l’ascolto protetto, l’eventuale collocazione in struttura sicura, la presa in carico sanitaria e psicologica. C’è poi il tema, spesso sottovalutato, della rinnovata vulnerabilità dopo l’intervento: le vittime, soprattutto genitori e anziani, possono restare esposte a ritorsioni e pressioni emotive. Un ordine di allontanamento tutela sulla carta; nella pratica richiede vigilanza, monitoraggio e la certezza che le violazioni siano intercettate e sanzionate in tempi rapidi.
## L’OSPEDALE CARDARELLI E LA RETE TERRITORIALE
Il trasferimento dell’uomo all’ospedale Cardarelli non è solo una formalità: è il punto di contatto con la rete sanitaria. Qui si aprono due piste: gli accertamenti clinici sull’alterazione e la valutazione psichiatrica, quando necessaria. La risposta più efficace nasce dall’integrazione: servizi per le dipendenze, salute mentale, assistenti sociali, centri antiviolenza. L’obiettivo è duplice: proteggere i genitori e proporre un percorso terapeutico al figlio, se e quando le condizioni lo rendano possibile. Non c’è automatismo, ma senza una rete il rischio è che la violenza si spenga per un giorno e si riaccenda il successivo.
# IL CONTESTO NAZIONALE: UN FENOMENO CHE NON È EMERGENZA MA STRUTTURA
La cronaca di Campobasso parla alla biografia di molte famiglie italiane. La violenza domestica non è un’emergenza episodica: è un fenomeno strutturale, che attraversa regioni e classi sociali. Le statistiche — al netto delle oscillazioni — descrivono un sommerso ancora vasto, con picchi di rischio nei periodi festivi e nelle convivenze segnate da dipendenze. Se l’androne del palazzo diventa l’unico rifugio, significa che la casa, luogo di cura per eccellenza, si è ribaltata nel suo contrario. E se accade “quasi ogni giorno”, come riportato, allora il tema non è l’eccezione: è la continuità della violenza.
## LE DOMANDE CHE RESTANO
Poteva essere evitato? Una domanda onesta impone cautela. La risposta completa dipende da ciò che non sappiamo: quante volte è stato chiesto aiuto, quali interventi sono stati tentati, quale rete era attiva sul territorio. Ma una cosa è certa: dieci anni di sofferenza meritano una presa in carico straordinaria, non una routine amministrativa. Le istituzioni chiamate in causa — dalla giustizia alla sanità — dispongono oggi di strumenti più rapidi e mirati; l’urgenza è usarli con rigore, coordinamento e umanità.
# TRA LEGGE E UMANITÀ: LA RESPONSABILITÀ COLLETTIVA
La cronaca nera illumina, per definizione, il momento del crollo. Il compito della comunità è guardare anche ai giorni prima e a quelli dopo. Non basta contare gli interventi: bisogna misurarne la qualità, la capacità di rompere il ciclo. E serve costruire fiducia, quella che permette a una madre ferita a una mano di dire “basta” non una ma l’ultima volta. Nell’androne di Campobasso, il 25 dicembre, due persone hanno trovato riparo. È il segnale di una fragilità, ma anche di una scelta: fuggire per vivere. Ora tocca alle istituzioni garantire che quel riparo non sia provvisorio, e che alla paura segua la protezione, alla ferita la cura, all’alterazione il trattamento, alla violenza la giustizia.
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